PROLOGO: Villaggio di Marzu, Regione del Darfur, Sudan

 

Fino a qualche giorno fa, questa località eretta in prossimità di un fiume era stata un crocevia delle operazioni ONU per il trasporto di generi di prima necessità e per l’evacuazione delle popolazioni da una guerra che, partita per semplici questioni di sfruttamento territoriale anni addietro, era diventata una macabra corsa allo sterminio in cui entrambe le parti, ormai, si confondevano di volta in volta nel ruolo di carnefici.

Marzu si distingueva ancora, tristemente, perché entrambe le parti avevano accettato di farne una zona neutrale come richiesto dall’ONU. Qui, la regola di fare tacere le armi, era stata osservata. Finora.

Da cinque giorni, forze associate ai Janjaweed, i guerriglieri musulmani, avevano stretto d’assedio Marzu. La presenza ONU, già diluita un po’ su tutto il territorio del Darfur, consisteva di una manciata di caschi blu. La maggior parte del personale di soccorso erano medici, volontari civili dei quali c’era un disperato bisogno. L’attacco non li aveva presi di sorpresa più di tanto, sapevano che prima o poi la tregua sarebbe stata violata. Il vero problema era dovere trasformare in ospedale ogni casa, ogni tenda, anche un angolo di strada, per non offrire una struttura centralizzata a bersaglio del fuoco nemico…

Il dottor Paul daSilva, un veterano di Medici Senza Frontiere, aveva operato a Marzu fin dal primo giorno in cui era stato dichiarato territorio neutrale. Aveva coordinato mezzi e uomini con precisione militare, e grazie al suo impegno avevano potuto resistere così a lungo a quell’attacco. Ma le loro munizioni non erano infinite, e nessuno poteva dare il cambio ai difensori ormai stremati…

Il paziente che stava operando emise un gemito fra i denti serrati. Paul terminò di cucirgli la ferita da arma da fuoco. L’anestetico era terminato, le suture doveva farle con budella animali e aghi fabbricati alla meglio. Paul evitò di pensare a quello che aspettava tutti loro, mentre un mondo ricco e indifferente si concentrava su come arrivare a fine mese…

Solo quando ebbe finito di curare il paziente, Paul si accorse di due cose.

Che si era fatto buio.

E che i suoni della battaglia erano cessati. Completamente. Un silenzio innaturale era calato sul villaggio. “Ma che diavolo..?” Paul si diresse verso la porta. Il suo pensiero andò ad un’eclisse, ma dubitava che questa gente fosse talmente superstiziosa da farsela addosso per quel fenomeno.

Mentre apriva la porta, udì un nuovo suono: un suono pulsante, ad intervalli di un paio di secondi, dai toni profondi che arrivavano fin nelle ossa. Uscito in strada, Paul DaSilva levò lo sguardo al cielo e capì perché la gente avesse smesso di combattere. “Signore iddio…”

Se quella era la cavalleria, voleva dire che Dio aveva un bel senso della coreografia.

 

 

MARVELIT presenta

https://www.comicus.it/marvelit/images/loghi_storie/Campioni_lg2.gif

Episodio 28 – Preparativi di genocidio

Di Valerio Pastore (victorsalisgrave@yahoo.it)

 

 

400 metri e 38.000 tonnellate di metallo si stavano lentamente avvicinando a Marzu: era il potente Drago Spaziale, il nuovo quartier generale mobile delle National Defense Special Forces dello Zilnawa. Il suono intermittente era quello generato dai suoi propulsori.

Con una delicatezza impressionante, considerata la sua mole, il Drago atterrò nel fiume, a breve distanza dal porto. L’onda che sollevò ricoprì le rive, ma non produsse danni. Appena ebbe raggiunto il porto, la sua testa dorata proruppe in un potente ruggito che riecheggiò a lungo nell’aria.

Un attimo dopo, la griglia dentata presente sul petto della fortezza si aprì. Diversi mezzi volanti, dipinti con i simboli ed i colori delle forze di pace ONU, uscirono e si diressero verso il villaggio, mentre altri prendevano posizione intorno al porto.

Contemporaneamente, sei figure luminose, ognuna grande quanto un essere umano, schizzarono fuori dall’hangar, dirigendosi come altrettante comete verso le forze janjaweed.

 

I guerriglieri, che fino a quel momento erano rimasti ad osservare quell’inattesa svolta degli eventi, alla vista di quelli che cedettero missili diretti contro di loro, si mossero per fuggire.

Sbagliarono in entrambi i casi: perché quelli non erano missili, e perché non c’era modo di sfuggire ad essi.

I miliziani furono isolati a gruppi. Un muro di fuoco ne circondò alcuni. Altri, a bordo delle loro jeep, si trovarono le ruote fuse da colpi termici. Catene di energia psichica si avvolsero alla velocità del pensiero di altri ancora, mentre chi tentò di rispondere sparando scoprì che i propri fucili avevano smesso di funzionare come per magia…

Gli ultimi guerriglieri riuscirono a fuggire da dove erano venuti, cioè attraverso un passaggio sotterraneo. Chiusero il portello d’acciaio sulle urla di aiuto dei loro compagni, ma non esitarono: questa battaglia era perduta, non potevano permettersi altre…

Un ringhio tremendo venne da dietro il gruppo! I guerriglieri reagirono d’istinto, sparando tutti insieme, le urla di terrore confuse con il verso delle armi, mentre i lampi di queste ultime illuminavano la scena come luci stroboscopiche. E in quei lampi di luce, gli uomini videro la gigantesca bestia correre verso di loro…

 

“Capitano Simone Benfatti. Sono molto, ah…onorato di avervi qui, signore.” Strinse la mano alla sua controparte, ma i suoi occhi, come quelli di caschi blu e civili, erano tutti per la gigantesca fortezza e i suoi uomini intenti al lavoro con mezzi fino a quel momento solo sognati.

Tenente Comandante Victor Asabi Stone,” si presentò l’uomo in uniforme rossa e bianca. “Ci dispiace di non essere giunti prima, ma abbiamo dovuto attendere le autorizzazioni…”

“Sempre meglio tardi che mai,” intervenne Paul DaSilva, per poi presentarsi a sua volta. “Bella bestia. Forse un po’ esagerata per una missione umanitaria, ma non sporgerò reclami.”

Victor sorrise, un’espressione che però non raggiunse la metà ustionata del suo volto. Coperta da una maschera metallica. “Meta di una missione umanitaria è convincere un’eventuale forza ostile a cessare ogni ostilità. Direi che ci siamo riusciti. Capitano Benfatti, volete che ci occupiamo noi di custodire i prigionieri?”

L’uomo annuì. “Sarebbe opportuno. Qui i nervi sono, come può immaginare, molto tesi. In un istante, la gente li lincerebbe.”

“Quali sono i piani, adesso?” chiese DaSilva.

Stone indicò le forze al lavoro. “Forniremo cibo, acqua, medicinali, vestiario e quant’altro servirà a questa gente per riprendersi completamente. A voi daremo quanto serve per potenziare le infrastrutture e migliorare le capacità di gestione dei nuovi arrivi. Quando saremo andati via, saprete cavarvela?”

Benfatti non sembrava proprio il ritratto dell’ottimismo. “Quest’area ha una certa importanza strategica per entrambe le parti. I janjaweed torneranno all’attacco, inutile illudersi. Vuole saperla una cosa  pazzesca, Tenente? Noi ci stavamo preparando ad evacuare del tutto questa zona, quando ci hanno attaccato. Loro non vogliono solo vincere: vogliono sterminarci. Tutti.”

Stone scosse la testa. “Le regole di ingaggio le conosce anche lei, Capitano: non possiamo andare all’attacco. Possiamo solo difendervi, ma non credo che provocare il nemico, soprattutto a rischio di perdite civili, sia una strategia raccomandabile. Tuttavia, se stavate preparando l’evacuazione, saremo lieti di usare il nostro Drago Spaziale per accelerarla. Di quante persone parliamo, al momento?”

“Dipende,” disse DaSilva, tetro in volto. “Dipende da quante ne resteranno.”

“Prego?”

“Lei non ne sapeva nulla?” fece il medico, che sembrava sul punto di esplodere per l’indignazione, poi sospirò. “Ma certo, figurarsi se dovevo aspettarmi di meglio da quel branco di burocrati.” Si voltò. “Mi segua.”

 

La scena che si presentò a Stone era tale che gli sembrava di potere percepire il fetore, nonostante indossasse una maschera speciale.

L’intero piano terra dell’ospedale era un tappeto di gente moribonda. Uomini, donne e bambini stavano sdraiati sotto coperte del tutto inutili, macchiate delle loro deiezioni e del loro sangue –sangue che usciva da ogni orifizio, mescolato al pus. La loro pelle era incartapecorita. Che qualcuno di loro fosse ancora vivo non era un miracolo, era una maledizione.

Ebola,” disse Stone.

DaSilva, annuì. “I bastardi hanno contaminato il solo pozzo con un cadavere infetto. Hanno riversato agenti chimici nel fiume per essere sicuri che l’acqua fosse resa il meno potabile possibile. Ce la siamo cavata perché avevo richiesto lanci di acqua, ma i janjaweed ne distruggevano quanta più possibile con le loro armi prima che toccasse terra. E c’è di peggio.”

Stone faceva fatica ad immaginarlo.

Il medico disse, “Questa variante di Ebola è lenta. Impiega fino ad una settimana per manifestarsi, anche se non è aerobica. Fino a quando non avrete effettuato una completa analisi a tutti i civili, non potremo muoverci.”

“Capisco. Inizieremo immediatamente. E già che ci siamo, isoleremo il pozzo. Per l’acqua, la preleveremo dal fiume e la depureremo; DaSilva, dica ai civili che si presentino con le borracce ed ogni altro contenitore utile al porto, tra mezz’ora esatta, quando inizieremo la distribuzione. E, DaSilva?”

“Mi dica.”

I due uscirono da quello scenario da incubo. “Per prima cosa, organizzeremo un controllo minuzioso per separare i sani dai contagiati che ancora camminano. La Talon Corporation ha sviluppato un antivirale che funziona nei primi stadi della contaminazione dai tipi di Ebola conosciuti. Forse, proprio la lentezza di diffusione di questa variante potrebbe tornare a nostro vantaggio, ma esigo che lei non sparga la voce. Come medico, dovrebbe conoscere gli effetti devastanti delle false speranze. Poi organizzeremo una struttura speciale dove permettere alle persone in contaminazione avanzata di morire in pace e con la migliore assistenza che potremo loro dare. Quanto alle persone che ho appena visto, lei avrebbe obiezioni al somministrare loro una morte umana?”

Il medico deglutì. “Lo avrei fatto io, ma quella poca morfina che avevo mi serviva per quelli che…” che poteva recuperare, voleva dire, ma solo essere costretto a simili scelte era peggio che mettere la sua anima sui carboni ardenti.

“Capisco. I familiari ed amici avrebbero obiezioni?”

Il medico scosse la testa. “All’inizio, volevano almeno i corpi da seppellire, ma abbiamo dovuto bruciarli e continueremmo a farlo, se il nemico non ci impedisse anche quello.”

Quando furono fuori dall’ospedale, Stone si tolse la maschera. “C’è una cosa che mi sfugge, di tutto questo: il perché.”

Il medico sorrise amaro. “La follia umana ha bisogno di una spiegazione?”

Stone scosse la testa. “Intendevo un’altra cosa: ho studiato l’evoluzione del conflitto sudanese, e non vi ho trovato accenni alla guerra batteriologica o chimica. Un simile salto di qualità richiede di solito una motivazione molto particolare. I janjaweed hanno manipolato una grezza bomba biologica, che probabilmente avrà ucciso coloro che l’hanno toccata, si sono procurati grandi quantità di agenti inquinanti costosi. Non volevano solo assicurarsi la vostra morte, volevano che questo posto divenisse un deserto. Credo che siate stati fortunati che non abbiano messo le mani su un carico di iprite.”

“Pensa che attaccheranno di nuovo?”

Stone annuì. “Per questo ho mandato i miei Campioni in ricognizione. Per quanto il mandato ONU limiti i nostri movimenti, l’uso di armi chimiche e batteriologiche ci permette di trovare tali armi, distruggerle immediatamente, e di arrestarne i detentori.”

“I Campioni…sono quei sei che prima hanno sbaragliato le forze janjaweed?”

“Esatto. Sono i migliori per un controllo capillare del territorio. Allora, dottore: lei è sicuramente stato presente sul territorio più a lungo di me. C’è qualcosa che dovrei sapere a proposito di questo speciale accanimento?”

DaSilva non mostrò esitazioni, nel rispondere, “Niente che lei non sappia già.”

La metà metallica del volto di Stone lo fissò intensamente. “Allora vuol dire che dovrò apprendere di più.”

 

“Decisamente non metterei questo posto nella lista dei favoriti della Francorosso,” disse la donna dalle sei braccia che rispondeva al nome di Spirale (Eleanor Rigby). Una mano emetteva luce a sufficienza da illuminare lo stretto tunnel che costringeva i Campioni in fila indiana. Dietro di lei stava Capitan Ultra (Griffin Gogol), seguito da Pychlone (Dave Martin), il lupo Hrimhari di Asgard, Sundown, l’Uomo Fotogenetico (David Patrick Lowell). A chiudere la fila, stava Equinox, l’Uomo Termodinamico (Terrance Sorenson), che aggiungeva luce dalle zone fiammeggianti del suo corpo parzialmente congelato.

Psychlone, che indossava un’elaborata armatura di pura energia psichica dalla luce dorata al posto del vecchio costume, voltò la testa verso Hrimhari. Anche nella sua forma ferale, l’asgardiano mostrava segni di nervosismo. Non poteva muoversi in quel tunnel nella sua altra forma, era troppo grosso, e comunque soffriva di claustrofobia, per quanto Dave fosse il solo a saperlo. A Spirale, il giovane disse, “Possiamo accelerare un po’? La mia cella al Ravencroft era più grossa di ‘sto budello, e abbiamo capito che non ci sono trappole.”

“Non ha tutti i torti,” aggiunse Sundown. “Il mio potere ha bisogno di energia solare, e quaggiù sono praticamente in modalità batteria.”

“Non sono le trappole lasciate dallo Stato che mi preoccupano,” replicò Ultra. “Sono gli eventuali miliziani rimasti a difendere il tunnel. Loro conoscono il territorio, noi no, e a distanza ravvicinata un proiettile per alcuni di noi può essere letale quanto una superarma. La parola ‘vietnam’ vi dice niente?”

“L’odore del nemico è fresco,” disse il lupo, saggiando l’aria. “Ma non so dire quanto distante, con quest’aria immobile.” L’unico, altro certo indizio della presenza dei miliziani erano i resti dei loro accampamenti sparsi nel tunnel, resti che includevano qualche lattina di cibo in scatola, e una torcia elettrica.

“Ma che diavolo ci facevano ‘sti pezzenti in una base dello Stato?” fece Equinox. “O anche le guerre africane fanno parte del loro grande complotto?”

Secondo i dati sottratti al defunto Maximillian von Staar, l’entità parapolitica globale nota come lo Stato, una cabala dedicata al mantenimento dello squilibrio socioeconomico fra primo e terzo mondo, aveva disposto diverse basi nei continenti dell’emisfero australe. Il guaio era che lo scopo ultimo di tali basi era noto ai soli vertici dello Stato. Gente come Staar doveva solo assicurarsi della difesa del network logistico, non avere risposte…

“Bene, sembra che ci siamo,” disse Spirale, fermandosi. La sua mistica luce illuminava ora un pannello d’acciaio a rosa. “Apri tu, intrepido leader?”

 

Un paio di secondi dopo, un solo pugno fece volare via la spessa porta. Capitan Ultra entrò per primo.

“Be’,” disse Sundown, “almeno sappiamo perché i padroni di casa non hanno chiesto l’affitto.”

I Campioni entrarono in una caverna enorme. Della base che aveva ospitato, erano rimaste solo le travi portanti e le pareti di metallo. Per il resto, niente. Le luci di Spirale ed Equinox erano come quelle di flebili candele. Il silenzio era assordante.

Ultra attivò la propria supervista, ma pochi movimenti dello sguardo non poterono che confermare la prima impressione. “Pulizia totale. Non si sono lasciati dietro alcuna traccia di tecnologia.”

“Dovevamo aspettarcelo,” disse Spirale. “Hanno avuto il tempo per svignarsela da quando catturammo von Staar.”

Equinox si avvicinò ad Ultra. “Un po’ me ne intendo, di installazioni segrete. Troviamo il nucleo di alimentazione di questo posto. Qualcosa la impareremo, sui nostri amici. E se ci separiamo, sono sicuro che degli altri indizi li troveremo.”

Cap annuì.

 

Le immagini della vita del comandante janjaweed scorrevano rapidamente sullo schermo, passando dall’infanzia alla giovinezza, dall’età dell’innocenza alle tragedie che avrebbero trasformato la sua fede in fanatismo cieco.

Stone osservò ogni particolare, interessato soprattutto al periodo in cui il suo prigioniero era entrato nei Janjaweed. Ne studiò la carriera, da soldato semplice a capo di pattuglia e poi su, fino a comandante della divisione responsabile del recente attacco.

Peccato che fosse ritenuto ancora immorale usare sonde telepatiche per violare la privacy e risparmiare tempo in interrogatori…

Victor A. Stone era assolutamente convinto che ci fosse qualcosa di personale nell’azione di questi miliziani. Cosa poteva essere? Dei traditori passati dalla parte dei profughi? Spie con informazioni fondamentali mescolate ai profughi?

Il sofisticato software del computer stava progressivamente confrontando ogni volto della scansione mnemonica del prigioniero con le immagini dei profughi presenti. Ci sarebbe voluto un po’, ma…

Un cicaleccio interruppe i suoi pensieri. Senza smettere di guardare lo schermo, Stone disse, “Sì?”

“Parla la sezione medica, Comandante.” Era la voce di Vincent Daily, il canadese responsabile coordinatore del settore medico. “Abbiamo qualcosa che lei dovrebbe assolutamente vedere.”

In quel momento, sullo schermo apparve un volto che, decisamente, Stone non si sarebbe aspettato di vedere. L’uomo comandò il fermo immagine, poi, all’interfono, “Arrivo subito.” Si alzò dalla poltrona, e uscendo diede un’ultima occhiata al volto di un sorridente Paul DaSilva, che stringeva la mano proprio al comandante Janjaweed.

 

“Cosa ne dici?” Chiese Capitan Ultra.

Equinox osservò l’enorme spazio vuoto che, stando alla supervista di Cap, era il centro dei condotti di alimentazione. “Che non riesco ad immaginare che razza di tecnologia ci sia dietro. Voglio dire, un reattore tascabile non è inconcepibile, e lo Stato di soldi deve averne da buttare… Ma qui parliamo di roba degna della nostra. Li vedi tutti quei collegamenti?”

Ultra  vide una serie di fori disposti lungo il soffitto, come una scacchiera. “E allora?”

“Niente scarichi. Niente alloggi per gli scambi di calore, niente condotte per l’immissione del carburante. E se era un reattore nucleare, dov’è la vasca per il liquido di raffreddamento?”

“Forse era un semplice generatore a gasolio. Se usavano una tecnologia basata sui superconduttori come la nostra, sarebbe bastato.”

“È una possibilità, ma lo stesso mancano i condotti per gli sfoghi. Per quanto le emissioni possano venire filtrate, devono finire da qualche parte…” Equinox scosse la testa. “Ah, inutile arrovellarsi. La verità è che un’ipotesi vale l’altra. Chissà se gli altri hanno avuto fortuna...” E proprio in quel momento, Spirale e Sundown apparvero dietro di loro, facendoli sobbalzare.

“Non…rifarlo!” sibilò Equinox.

Ignorandolo completamente, lei si rivolse a Ultra. “Abbiamo setacciato ogni stanza dei settori est e ovest, ma non abbiamo trovato traccia di cucine, dispense, o alloggi. Solo stanze nude e senza attacchi per lampadine o pannelli luminosi.”

“Cosa?” chiesero gli altri due eroi, insieme.

Sundown annuì. “I casi sono due, o questa gente è imparentata con l’Uomo Talpa…”

“O qui non ci vive nessuno,” concluse Equinox. “Questo posto è un magazzino.”

Ultra ricevette un segnale dall’elmo. “Dave?”

“Cap, ah, credo che tu e gli altri dovreste raggiungerci. Abbiamo un problemino con i nativi.”

 

Daily era il ritratto del bel dottore ricco. Abbronzato, alto, in forma smagliante e un volto delicato corredato da un paio di occhi azzurri e una chioma ordinata di capelli biondi. La sua voce era piena di ammirazione, nell’esporre la relazione.  “Questo virus è un piccolo capolavoro: hanno usato l’Ebola Zaire come scheletro per essere sicuri di avere un virus col maggior livello di contaminazione possibile, unito al minimo di possibilità di cura. Ma il suo scopo non è uccidere con la febbre emorragica. Credo si tratti di un effetto indesiderato.”

“Perché questa conclusione, dottore?”

“Ho esaminato i soggetti ‘sani’, e sono risultati tutti contaminati.” Non sembrava assolutamente turbato ne’ dalle proprie conclusioni ne’ dall’esporle. Avrebbe potuto dirti con lo stesso entusiasmo che avevi una malattia rara come proporti un nuovo ristorante per la cena. “E sono tutti sterili.”

Stone spalancò l’occhio buono. “Prego?”

Daily annuì. “È così. Donne, uomini, ragazzi maturi. Tutti completamente sterili. Il virus si dà fare con i genitali, prima di sparpagliarsi per il resto del corpo, e a quel punto si ricorda di essere anche un assassino… Ma non sempre, occhio. Il virus in queste persone è ben diffuso, ma loro stanno ancora benissimo. I più giovani, quelli ancora immaturi, presentano il virus nell’area genitale, ma in questo caso è latente, il che mi fa pensare che la sua struttura reagisca alla presenza di specifici ormoni.”

Stone si rivolse all’aria. “Computer, localizza Paul DaSilva.”

Ci volle qualche istante prima che la voce sintetica rispondesse, “Paul daSilva non è più presente entro l’area del campo profughi.”

 

“Sei sicuro di quello che dici?” Psychlone si guardò intorno. I riflessi delle unità luminose fissate all’armatura la trasformavano in un faro e l’argenteo lupo in una figura spettrale.

Hrimhari, ora nella sua forma ibrida, a quella domanda smise di annusare l’aria e rivolse all’umano uno sguardo severo. “Se fossi stato un altro, avrei considerato il tuo parlare come un’offesa mortale, Dave Martin. Non sono diventato principe della Foresta Incantata senza essere il migliore della mia gente.”

“Scusami, ma lo vedi anche tu: questo posto è più una catacomba che una base abitabile. Hai visto qualcosa che assomiglia ad una bocca di areazione? Spirale ha dovuto fare una delle sue magie dal momento in cui siamo entrati, o l’assenza di aria respirabile ci avrebbe stecchiti.”

“Cionondimeno, l’odore rimane. Odore di morti.”

“Prego?”

“Umani morti. Ma è un odore strano, mescolato a quello della plastica e del metallo…”

In quel momento, una nuova luce si accese nel buio. Una luce così abbagliante da strappare ad entrambi un gemito di dolore per quell’improvvisa esposizione.

Hrimhari, nonostante la temporanea cecità, fu il primo a percepire lo spostamento d’aria di qualcosa che si muoveva velocissimo contro di lui! Si preparò a saltare via…

Impatto! Il pugno tuttavia non colpì l’asgardiano; invece, si fermò contro una barriera di energia psichica! E dietro la barriera, a braccia tese, stava Psychlone! “Stai bene?”

“La vista sta migliorando, ma posso ancora contare sui miei altri sensi. E tu?”

“Le mie luci mi avevano abituato un po’. Ho visto questo buffone attaccarti.” Attivò il suo comunicatore. Quando Capitan Ultra gli rispose, disse, ““Cap, ah, credo che tu e gli altri dovreste raggiungerci. Abbiamo un problemino con i nativi.”

Uno solo, a dire il vero: un’enorme figura umanoide nuda, asessuata, dalle carni grigie. Una ‘cosa’ che sembrava pronta per fare a pugni con Hulk in persona!

“Attenzione!” ruggì Hrimhari, nel momento in cui l’essere caricò un altro pugno. Dave aspettò fino all’ultimo, prima di dissolvere la barriera. L’inerzia dell’attacco spinse goffamente l’essere in avanti, a rovinare a terra.

Hrimhari ne approfittò per saltargli addosso! Si preparò a squartarlo lungo la schiena…quando, senza neppure voltarsi, la creatura lo afferrò per la gola! Quasi contemporaneamente, la sua testa ed il corpo si rimodellarono come creta, e Hrimhari si trovò a fissare la zona frontale del nemico –non che fosse un particolare rilevante, visto che a stento riusciva ad impedire a quella presa di stritolargli il col*

A quel punto, le mani della creatura si erano trasformare in una specie di pasta che avvolse tutta la testa dell’asgardiano!

Tutto questo aveva richiesto pochi istanti. E Dave temette di essere stato troppo lento: per tale ragione, quando intervenne, l’evento fu davvero spettacolare! “Lascialo!” urlò, mentre contemporaneamente calava le braccia tese come se fossero state lame di spada. E la sua energia psicocinetica si concentrò in fendenti che prima tagliarono le mani della creatura, poi il resto del corpo!

L’’impasto’ si staccò dalla testa del lupo, mentre questi cadeva a terra. Dave fu subito su di lui, una figura curiosamente minuscola a consolare un gigante. “Stai bene?”

“Mi ha solo preso di sorpresa… Guarda!”

I pezzi della creatura avevano ora assunto una consistenza semiliquida, e stavano raggruppandosi rapidamente…

In quel momento, un colpo criogenico li avvolse in una spessa coltre di ghiaccio! Costretti bruscamente alla forma solida, dovettero interrompere il processo.

“Scusate il ritardo,” disse Equinox, in test al resto del gruppo. “Per qualche ragione, Spirale non riusciva a trovare più la direzione giusta.”

“Hanno attivato un dispositivo di distorsione spaziale,” disse la donna. “Sufficiente per mandare i tilt i sensori e i poteri dei tele porta.”

“In altre parole,” disse Ultra, “ci hanno attirato in una trappola. Fatemi provare una cosa.” Decollò, già variando la propria densità per attraversare il soffitto…

I Campioni capirono che aveva fallito quando una specie di lampo esplose sopra di loro. Un attimo dopo, il coloratissimo eroe cadde a terra. “Già” disse Equinox. “E mi sa che non avremo molta fortuna da dove siamo venuti.”

Sundown abbassò lo sguardo. “Uh, mi sa che di quello dovremo preoccuparci dopo.”

Il pavimento si stava rapidamente riempiendo di una pasta fangosa grigia!

 

Attraverso gli occhi dei robot che stavano assistendo i profughi, lo schermo principale della sala comando mostrava un mosaico completo dell’intero villaggio e dei suoi dintorni. Se DaSilva, o chiunque fosse quel ‘medico’, si fosse nascosto da qualche parte, lo avrebbero notato.

Il resto delle informazioni strappate dalla mente del prigioniero disegnavano un quadro tremendo: l’uomo conosceva daSilva, senza sapere che questi stava progettando di usare lui ed i suoi subalterni come cavie per provare questo nuovo mostro genetico. Forse daSilva non aveva previsto che le sue pedine rimanessero contaminate, mentre poi si dirigeva al villaggio per verificare gli effetti del morbo. E si era trovato in mezzo al casino, quando era arrivata l’ora della vendetta…

In tutto questo, la sola fortuna per mezzo mondo era che i janjaweed avessero, secondo i ricordi del loro capo, bruciato subito i loro morti e avevano deciso quell’attacco totale per portarsi dietro quanti più nemici possibile… “Un momento,” sussurrò Stone, fissando l’immagine dell’unico edificio nuovo in mezzo al villaggio: l’ospedale. “Sensori, datemi una scansione dell’ospedale. Scommetto quello che volete che lì troveremo un passaggio segreto.”

“Ricevuto,” rispose Milena Grossmonde.

“Comandante,” intervenne Alan Parker, il responsabile delle comunicazioni. “Ho perso il contatto con i Campioni.”

“Cosa!?”

“È successo un minuto fa. All’inizio, ho pensato ad un guasto del sistema, ma tutto funziona nella norma.”

Hanno bloccato un sistema di trasmissione subspaziale! “Comunicazioni, qual è l’ultima posizione rilevata dei Campioni?”

“Eccola.” Un rapido digitare di comandi mostrò i puntini intermittenti ad una profondità di 32 metri, nel cuore della base nemica.

Milena stava lavorando freneticamente sui suoi comandi. “Comandante, abbiamo un altro problema: tanto l’ospedale quanto la base dello Stato sono schermate dai nostri sensori. Non abbiamo letteralmente idea di quello che sta succedendo al loro interno.”

“Primo round allo Stato,” sibilò Stone.

“Primo, secondo, terzo… Non siamo schizzinosi, Tenente Comandante,” disse la voce di daSilva, un attimo prima che il suo volto apparisse sullo schermo principale. Dismesso il camice da medico, indossava un’uniforme nera e oro, con un berretto pure nero con visiera dorata. “Scusate questa piccola ingerenza nel vostro sistema di comunicazioni, ma credo fosse importante farvi capire che non avete più a che fare con dei lacché incompetenti. A proposito, il mio nome è Nikolas Janus, Marchese Nikolas Janus al servizio dello Stato, per voi. E ho una proposta che credo troverete interessante.

“Fra pochi istanti, la mia navetta mi porterà via di qui, e voi non la fermerete. In cambio, non farò detonare l’ordigno termonucleare che tengo nascosto nell’ospedale. Una volta che sarò in salvo, potrete fare quello che volete per liberare i vostri ‘Campioni’, ed aiutare le mie cavie. Per quanto mi riguarda, l’esperimento è stato un successo. Avevo solo bisogno del giusto tempo per studiarne la diffusione e la reazione dei soggetti. Ora non mi servono più.” Fece un perfetto saluto militare, e si udì il suono dei tacchi che sbattevano. “Arrivederci, signori.”

 

Una fiammata mandò in pezzi il magazzino adiacente all’ospedale. Subito dopo, una navetta-razzo dallo scafo ovoidale schizzò via, diretta verso l’orizzonte.

“Il sistema di interferenza è stato disattivato,” disse Milena. “Non ha mentito, c’è davvero una bomba termonucleare. Potenza stimata, 2 megatoni. E…” strabuzzò gli occhi. “Comandante! La base nemica, osservi!”

Sullo schermo, apparve una nuova immagine, quella del complesso sotterraneo…riempito fino all’orlo di una qualche sostanza così densa da schermare i raggi X!

In quel momento, si udì la voce di Capitan Ultra. “…sentite? Drago Spaziale, maledizione! Abbiamo bisogno di aiuto qui! Ci sentite? Parla…”

“Ora la riceviamo, Capitano,” rispose Stone. “Saremo da voi il più presto possibile.”

 

“Ci…contiamo…” Ultra stava dando fondo alle sue energie per resistere alla mostruosa pressione esercitata da quella massa. Con l’aiuto di Psychlone, e con la magia di Spirale, aveva esteso il proprio potere in una bolla adatta a contenere sé stesso e i suoi compagni. Era esattamente come trovarsi nel mezzo di un colossale pugno, con tutte le sue cellule a concentrare lo sforzo contro quel lucente guscio. “Sarebbe…sufficiente…indebolire questa schifezza…”

 

Stone osservò il traffico di civili ancora in corso. Le procedure di decollo avrebbero impiegato un’eternità, e i profughi a bordo si sarebbero ulteriormente innervositi. “Armamenti, possiamo fare detonare la bomba a distanza?”

Takashi stava esaminando lo schema dell’ordigno. “Se i sensori danno una lettura corretta, sì.”

Stone annuì. Bisognava solo sperare che il piano B potesse bastare… “Robert, preparati al decollo.”

 

Seduto ai comandi di una specie di motoslitta magnetica, Robert Takiguchi corse lungo un tunnel di cristallo e acciaio, risalendo rapidamente il collo del Drago Spaziale. Terminò la sua corsa entrando nella cabina di comando, nel cranio della bestia meccanica. “Modulo di comando pronto!”

 

Nell’hangar, i moduli delle braccia e delle gambe partirono in rapida sequenza. Percorsero rapidamente il tunnel di lancio, ed uscirono dal portello posto sul petto della macchina.

A quel punto, toccò alla testa del Drago di staccarsi in una fiammata di propulsori. Il modulo andò a posizionarsi davanti alle braccia, e si agganciò ad esse. Subito la testa di un robot venne estrusa dal modulo del cranio. Un attimo dopo, le gambe si agganciarono. Il super-robot Gaiking era pronto!

Dal Drago, furono lanciati due missili a forma conica, con tre affilate lame disposte sui lati.

 

“Agganciati ai missili perforanti, Robert, e usali per scavare un tunnel fino alla profondità di cinquanta  metri al di sotto della base nemica. Lì, faremo detonare l’ordigno che il Marchese Janus ci ha regalato. Se i nostri calcoli sono esatti, il gruppo potrà liberarsi.”

“Ricevuto!”

 

Gaiking si posizionò dietro ai missili, il cui gruppo propulsore si spense appena furono allineati. Gli avambracci si inserirono nelle bocche dei propulsori! “E ora via!” Robert diede massima potenza, e i missili iniziarono a roteare, mentre il robot si dirigeva a terra come una cometa.

 

Due dei robot di soccorso si agganciarono saldamente intorno alla bomba nucleare. Dalle loro schiene furono estroflessi gruppi propulsori. Le macchine decollarono.

 

Robert penetrò nel terreno come se fosse stato burro!

“Comandante, potrei risalire passando attraverso quell’orrore che sta soffocando i miei amici…”

“Negativo, Robert. Il rapporto fra densità ed estensione di quella sostanza ti intrappolerebbe come una mosca nella gelatina. Non ne usciresti più; inoltre, basterebbe che un po’ si infiltrasse attraverso le giunture per causare gravi danni.”

Robert osservò su una finestra della propria visiera la propria posizione rispetto alla base. Era proprio dove voleva, e la bomba sarebbe arrivata lì in un paio di minuti… “Vediamo se riesco comunque a rendere le cose interessanti. In fondo, dobbiamo anche sbarazzarci di questa schifezza, mica limitarci a liberare i nostri, giusto?”

Velocemente, Gaiking svoltò verso il basso e compì una inversione che lo riportò nel tunnel.

I missili perforanti partirono con una potente fiammata, e proseguirono verticalmente la loro corsa verso la base. Robert sperò solo di averci azzeccato. Fece decollare il robot e si diresse da dove era venuto. Ora non si tornava indietro. E poco dopo il decollo, vide l’ordigno nucleare passargli accanto, proprio ad un passo dal ventre.

 

I missili superarono lo strato di terreno. Sfondarono facilmente lo strato di metallo, e penetrarono la densa massa. Riuscirono a percorrere una breve distanza, prima di doversi fermare, come Stone aveva previsto.

E, a quel punto, esplosero.

 

La sostanza amorfa indebolì la sua presa. “Ci sono riusciti!” esclamò Ultra, per poi concentrare al massimo il suo potere per quell’ultimo colpo, insieme ad Equinox e Sundown…

 

Dallo schermo principale, Stone vide il triplice getto di energia sfondare il terreno. Un attimo dopo, la bolla di energia schizzò fuori dalla trappola.

“Teletrasporto, ora!” ordinò Stone.

I sei eroi scomparvero dallo schermo un attimo prima che la tremenda esplosione gonfiasse il terreno come fosse stato un soufflé. Poi, il terreno si incavò, mentre una colonna di polvere e fumo si innalzava verso il cielo.

“Base nemica distrutta,” confermò Milena. “Tutto quello che si trovava al suo interno è stato distrutto. Nessun segno di attività.”

Mentre un applauso si levava dalla sala di comando, Stone annuì sovrappensiero. I suoi pensieri andarono agli evacuati. Non potevano neppure reclamare quella piccola vittoria, perché quei poveretti non avrebbero mai più potuto avere un solo contatto umano. Avrebbero dovuto passare il resto delle loro vite in isolamento, insieme ai loro aguzzini. E lo Stato aveva appena dimostrato di possedere i mezzi e la volontà di controllare efficacemente quello scenario…

 

“Un brindisi, mio caro amico,” disse il Marchese Janus, levando un calice di spumante. “Un brindisi ad un’operazione di grande successo. Abbiamo sperimentato con ottimi risultati l’Ebola Ereba, abbiamo misurato la forza del nostro nemico spingendolo ai propri limiti di potenza ed efficienza, e presto quei limiti saranno superati. E infine, abbiamo provato allo Zilnawa chi ha il coltello dalla parte del manico.”

L’’amico’ presente nella stanza era un giovane di circa trent’anni, con indosso l’uniforme ed i gradi del PAX che erano appartenuti alla defunta Capitana Da Rosetta. Rispose al brindisi fissando il suo collega con diffidenza. “Qualunque cosa tu intenda fare, i Campioni e la Justice Incorporated sono miei, non dimenticarlo.”

Janus annuì con fare educato. “Naturalmente, Capitano Robert Da Rosetta. Non sarebbe da galantuomini togliere ad un uomo il piacere della sua vendetta.